Comincio questo articolo con un breve racconto quotidiano.

Una maestra, in questi giorni di conflitto e di forte impatto emotivo della guerra, si interroga su come facilitare i racconti degli alunni su quello che sta accadendo. Cosa veramente molto importante, fondamentale: più che dare risposte (che spesso, possiamo dircelo, non ci sono) risulta opportuno creare spazi in cui raccontare le proprie emozioni e idee su quello che sta accadendo, con una persona di fiducia. Così chiede ai propri alunni di esprimere tre desideri. Tra le varie risposte “vorrei finisse la guerra” “mi piacerebbe che il coronavirus andasse via” “mi piacerebbe volare come un uccello” un bambino scrive :

“Vorrei avere la pelle rosa!”

e lo declama a voce alta ai suoi compagni.
La maestra si affretta a dirgli , con affetto, “ma perché? la tua pelle è bellissima e siamo tutti diversi, per questo tutti uguali”.
La maestra riprende un motto che ci aiuta nella vita a vivere la diversità. Nel 1995 il Consiglio di Europa avviò una campagna per la pluralità, con l’intento di focalizzare il tema della lotta al razzismo e all’intolleranza. “Tutti diversi-tutti uguali” diceva.
Sappiamo però che nella pratica le cose non stanno esattamente così, (e si conferma che l’educazione è cosa veramente complessa). Cosa accade nel pensiero di un bambino quando l’indicazione è che siamo tutti uguali, ma poi nella vita quotidiana non lo siamo, perché abbiamo opportunità diverse dal punto di vista professionale, di accesso alle attività extrascolastiche, di considerazione sociale, ecc. ma anche solo in quanto gli altri ci reputano piacevoli o simpatici? Come costruisce il proprio modo di essere, i propri desideri?

Questi temi tornano con attualità anche rispetto ai milioni di profughi che scappano dai bombardamenti in Ucraina. I confini sono stati aperti, ma tra gli esseri umani che possono sperare di fuggire in luoghi più tranquilli e disposti ad accoglierli, pare esserci una discriminazione basata sulla provenienza a cui si sovrappone il colore della pelle. Una vignetta alquanto amara che è circolata in questi giorni mostrava i controlli alla frontiera con il pantone stile quello che utilizziamo per le nostri pareti da tinteggiare, con il lasciapassare solo sul “white”. In questo contesto, in vista della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale che viene ricordata ogni anno il 21 marzo ci sembrava interessante ricordare il lavoro fondamentale di una donna e psicologa Mamie Phipps e del marito Kenneth Clark. La giornata è stata proclamata dall’ONU per conservare e diffondere la memoria del 21 marzo 1960, del massacro di Sharpeville (Sudafrica) quando la polizia aprì il fuoco uccidendo 70 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell’apartheid, in particolare contro la “legge del lasciapassare” che imponeva di mostrare un documento quando fermati in zone riservate ai bianchi.

Mamie Phipps visse in un altro contesto: quello dell’Arkansas degli anni della segregazione razziale. Nel 1919 il linciaggio, che causò la morte di 237 persone di colore. La famiglia di Mamie Phipps era una famiglia mediamente benestante e questo consentiva loro di frequentare anche situazioni in quel periodo riservate alle persone bianche e forse questo, a partire dalla propria storia, la aiutava a riflettere in maniera approfondita sui temi razziali. Nel mondo di Mamie Phipps la popolazione di colore viveva segregata ai margini dei servizi di educazione e salute e i bambini frequentavano scuole diverse. Il suo lavoro era guidato da alcune domande: come nasce la consapevolezza del razzismo? Come agisce sullo sviluppo della consapevolezza di sé? Per provare a incidere su questo quadro si dedicò allo studio della psicologia con una tesi su come la questione razziale impatti sull’identità nello sviluppo infantile. Nel 1943 divenne la prima donna di colore a ottenere un dottorato presso l’Università della Columbia, e a dirla tutta la seconda persona afro-americana a ottenere il titolo dopo che la prima era stato il marito, Kenneth Clark che fu anche il primo uomo di colore ad assumere la presidenza dell’Associazione Americana di Psicologia APA.

Negli anni Quaranta i coniugi progettarono un esperimento chiamato “Doll Test”.

In cosa consisteva?: Su un campione di 253 bambini di colore di età compresa tra i 3 e i 7 anni indviduarono due gruppi: circa la metà avevano frequentato scuole materne separate in Arkanas, l’altra metà invece scuole “integrate” in Massachuttes. A ciascuno di loro vennero mostrate quattro bambole: due con pelle bianca e capelli biondi, e due con pelle scura e capelli neri, identiche per gli altri tratti e senza vestiti eccetto il pannolino bianco. Poi dovevano scegliere le bambole per rispondere ad alcune domande: “Dammi la bambola con la quale vorresti giocare di più” “porgimi quella che sembra simpatica “ e via via quella cattiva, quella di un colore bello, quella che sembra un bambino bianco, un bambino “negro”, un bambino colorato, e quella che sembra simile a te.

I risultati indicarono una preferenza nei bambini nel segnalare la bambola bianca come quella preferita, nonostante il proprio colore della pelle.

Nel documentario Eyes on the Prize: America’s Civil Rights Movement Kenneth Clark descrive: “Avevamo (…) alcune domande che riguardavano il riconoscimento della differenza (…). E dopo aver posto queste domande di preferenza, a seguito di cui la maggioranza dei bambini rifiutava in modo allarmante la bambola marrone e descriveva con caratteristiche positive la bambola rosa, seguiva la domanda più inquietante. Quella mi ha davvero sconvolto, anche come scienziato. Era “Ora mostrami la bambola che più ti somiglia”. Alcuni bambini che erano rilassati all’inizio dell’esperimento cominciarono a piangere o a mostrarsi emotivamente scossi quando venne chiesto loro di indicare la bambola con il proprio colore. Gli psicologi annotarono anche alcune considerazioni qualitative: ai bambini venne chiesto perché avessero indicato la bambola bianca come preferita ed essi risposero che sembrava più pulita, ordinata, un altro che aveva indicato la bambola bianca si giustificava dicendo che ora sembrava nero perché si era bruciato al sole estivo.
I coniugi Clark giunsero alla conclusione che elementi quali il pregiudizio, la discriminazione e la segregazione di cui i bambini erano vittime e con cui si confrontavano quotidianamente, li portava a sviluppare un senso di inferiorità e non consapevole rigetto della propria immagine, quasi come avessero “interiorizzato il razzismo” fino a rifiutare se stessi.

Grazie al lavoro di questi psicologi si arrivò a sostenere che il mantenimento di strutture educative separate rappresentava, di fatto, una discriminazione. La dottrina del “separati ma uguali” fu dichiarata non valida nell’ambito dell’istruzione pubblica e la segregazione scolastica divenne, ufficialmente, incostituzionale. L’idea della razza come fatto biologico è oggi superato. Ma non come elemento sociale : “l’identità razziale non è qualcosa che un individuo eredita in base ad alcuni distinti tratti biologici, ma una qualità che si acquisisce in seguito a un processo sociale di razializzazione simile al branding”.

Quali risvolti possono avere oggi queste ricerche? Oggi tutto questo è cambiato?
Purtroppo no!

Esiste un documentario “A doll like me”che ha ripetuto l’esperimento nel 2005 nel quartiere di Harlem portando ai medesimi risultati e molti sono gli studi in questo senso. Di forte impatto è la versione italiana visibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=QRZPw-9sJtQ.

Nell’ esperimento originario emersero anche alcuni elementi che potevano portare a dire che non bastava superare la segregazione per evitare la razializzazione interiorizzata: sebbene comunque in minoranza, un livello maggiore di bambini di colore del nord (ovvero quelli in un contesto “più integrato”) rispetto a quelli del sud “segregato” indicarono come preferita la bambola bianca e come “cattiva” la bambola di colore.

Forse può essere utile riflettere su come l’educazione possa cambiare per riuscire ad affrontare i temi posti dalla risposta di quel bambino di oggi, e di quei bambini di ieri, creando spazi per poter parlare di sé e del proprio modo di vedersi. Occorrerebbe porre l’attenzione a processi ed emozioni non consapevoli che vengono culturalmente riprodotti ma anche che le persone “incarnano” crescendo.
Come mi muoverò nel mondo, pensando di avere qualcosa di “cattivo”, di “inferiore” o cercando di rifiutare una parte di me, talvolta rinnegando la mia famiglia “il mio colore”?
Qual è la responsabilità degli strumenti educativi in questo? A. Frisina, F.G.Farina e A. Surian propongono una pubblicazione gratuita dal titolo “Antirazzismo e scuole vo.1” che offre una serie di riflessioni e di strumenti per una educazione attenta a questi temi. Solo per fare un esempio, nel lavoro di ricerca, condotto recentemente, emerge il desiderio di rendere bianca la propria pelle di molte bambine “Se la mia pelle fosse bianca non dovrei usare la crema sbiancante” come riprende la scrittrice e giornalista somala Igiaba Sciego nella video-intervista (al link https://www.youtube.com/watch?v=eZLweS8nX0A).
La giornata di oggi diventa quindi l’occasione per ribadire la necessità di agire su questi aspetti così fondamentali per il benessere personale e delle nostre comunità nell’ottica di un’ attenzione costante a quei fattori capaci di incidere sul livello di salute mentale delle persone (determinanti di salute) in maniera più o meno visibile.

A Cura della Dottoressa Maria Francesca Valli

Clark, KB e Clark, MP (1939). Lo sviluppo della coscienza di sé e l’emergere dell’identificazione razziale nei bambini in età prescolare negri. Journal of Social Psychology, 10 , 591-599.

Clark, KB e Clark, MP (1939). La segregazione come fattore nell’identificazione razziale dei bambini in età prescolare dei neri. Journal of Experimental Education, 8 , 161-165.

Elizabeth V. Spelman, Racism and Philosophy, 1999

https://associazionesemi.org/2020/10/17/il-doll-test-ci-spiega-cose-il-razzismo-interiorizzato/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/08/31/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-razzismo/5412518/

Kiri Davis A doll like me https://www.youtube.com/watch?v=z0BxFRu_SOw&ab_channel=4TruthAndJustice   (documentario)

https://www.youtube.com/watch?v=QRZPw-9sJtQ&ab_channel=Fanpage.it (versione italiana)

A cura di A. Frisina, F.G. Farina, A. Surian Antirazzismo e scuole vo.1 http://www.padovauniversitypress.it/system/files/attachments_field/9788869382710.pdf

Sulla mia pelle: la psicologia per la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *